
Sostenibilità Integrale? Ripartiamo dal desiderio e dal fattore comunitario
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Sostenibilità come leva di uno sviluppo integrale e non soltanto come esternalità di una produzione che si limita a ottimizzare le risorse e a ridurre lo spreco. Su questo bivio si giocherà molta della potenza trasformativa dei fondi messi a disposizione dall’Europa per accompagnare le transizioni ecologiche, digitali ed economiche.
La pandemia è stata indubbiamente un fattore di accelerazione sistemico che ha reso ancor più pervasivo e rilevante il «fattore sostenibilità» nelle scelte delle imprese, degli investitori e dei consumatori. Un processo irreversibile che gli stessi attori finanziari oggi promuovono convintamente, aumentando la dotazione di risorse dedicate a quella fetta (crescente) di imprese che dimostrano di rispettare gli ormai noti parametri che misurano la qualità dell’azione Ambientale, Sociale e di buona Governance (Esg).
Non tutte le strategie però sono uguali o per meglio dire non tutte le buone intenzioni generano buone azioni.
Il banco di prova delle strategie di sostenibilità delle imprese non risiede esclusivamente nella capacità di dotarsi di «metriche credibili» per misurare le dimensioni Esg, ma di alimentare un reale processo trasformativo utile a ridisegnare il mindset, la governance, i modelli organizzativi e gli strumenti di reporting.
Le prove che un’impresa «fa sul serio» vanno osservate e valutate dentro tutta la catena del valore e non solo soffermandosi su alcune dimensioni (magari quelle più rilevanti in termini di comunicazione esterna). L’opportunismo ed i comportamenti di green e social washing prosperano in particolare in tutte quelle aziende che non assumono l’impatto sociale e il lungo periodo come traiettoria desiderata del proprio agire. Orientare la sostenibilità verso lo sviluppo integrale collettivo e non verso la mera crescita è un’azione di corresponsabilità a cui tutte le istituzioni sono chiamate.
A tal proposito è forse opportuno chiarire la diversa accezione del termine sviluppo nelle scienze naturali e in quelle sociali (come l’economia). Etimologicamente, sviluppo indica l’azione di liberarsi dai viluppi, dai lacci, che inibiscono la libertà d’agire. Ama dunque lo sviluppo chi ama la libertà. Ora, mentre in biologia sviluppo equivale alla crescita di un organismo, nelle scienze sociali il termine designa il passaggio da una condizione all’altra e pertanto rinvia alla nozione di progresso.
Diversamente dalla crescita, il progresso disegna un cambiamento verso il meglio, un cambiamento capace di generare un incremento di valore. È in questo «surplus di valore» che risiede la vera e propria ragion d’essere della sostenibilità. Le imprese sostenibili non solo quelle che si «adattano» ai cambiamenti internalizzando le opportunità e riducendo gli effetti negativi in tema ambientale, ma quelle che sanno mettere in atto nuovi meccanismi di generazione del valore. Meccanismi diversamente competitivi.
Questa traiettoria è visibile nel re-naming che Csr Manager Network, la storica associazione che riunisce i professionisti della Csr, ha fatto del ruolo dei propri associati: da Csr Manager a «Sustainability Makers». Un passaggio paradigmatico che sposta il fuoco di una professione, dalla «attività di sensibilizzazione» alla messa a terra delle strategie di cambiamento.
Un cambiamento guidato da uno scopo (purpose) e da declinarsi in maniera integrale. Come detto in precedenza non basta infatti l’integrità delle metriche per costruire una prospettiva credibile di sostenibilità, serve una «integralità della prospettiva». Una integralità che non si accontenta di essere «certificata» da indicatori ambientali ma che si spinge oltre, fino a includere il fattore comunitario e quello antropologico nella propria missione trasformativa.
Il punto di debolezza di molti strumenti di reporting legati alla sostenibilità risiede infatti non solo nella bassa qualità della metodologia adottata ma anche nel riduzionismo applicato alla componente «sociale» degli obiettivi che si perseguono.
Una debolezza che depotenzia il contributo delle imprese tanto nelle grandi sfide sociali come la lotta alle disuguaglianze quanto nella capacità di generare competitività attraverso un rapporto virtuoso con la comunità, il territorio ed il terzo settore (come dimostra il Rapporto «Coesione è Competizione» realizzato da Fondazione Symbola).
Per questo motivo la sostenibilità integrale richiede strumenti di comunicazione e conversazione capaci non solo di rendicontare le azioni, ma di valutare (dar valore) ai cambiamenti generati da una intenzionale strategia trasformativa. I report di sostenibilità devono perciò saper esplicitare la sostenibilità come azione intenzionale e strategica, portando «le prove» della qualità generata e non solo della quantità prodotta.