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A cosa facciamo riferimento quando parliamo di “lavoro sociale”? A una scelta di campo dagli accentuati tratti politici e valoriali che si alimenta guardando soprattutto a un passato ricco e ingombrante fatto di pionierismo e riforme nel campo del welfare? Oppure a un insieme di organizzazioni e professioni strutturato in modo sempre più stringente attraverso modelli di servizio, standard prestazionali e vincoli di spesa? O addirittura a un nuovo modo di “stare al mondo” come individui e comunità agendo in contesti onlife fisico-digitali nei quali è possibile generare valore attraverso un incessante “lavorio” su profili e reti di relazione?
Porsi domande come queste è necessario al fine di ricostruire una rappresentazione condivisa del lavoro sociale e, intorno a questa, strutturare politiche e interventi che ne sappiano riconoscere il valore.
Uno sforzo necessario non solo per ricomporre elementi di significato che appaiono sempre più “sparsi in giro” tra conoscenze codificate e dati di esperienza, ma anche per riallineare il lavoro sociale rispetto alle sfide, anzi alla sfida, che connota un futuro che è sempre più presente, ovvero tenere insieme la sopravvivenza del pianeta con la qualità della vita dei suoi abitanti umani.
Tra i vari collanti di questa rinnovata rappresentazione del lavoro sociale che ne sappia riconoscere e valorizzare le sue diverse espressioni, sia quelle consolidate che emergenti, uno in particolare sembra rilevante soprattutto in termini di potenzialità, e consiste nella ridefinizione di un meccanismo sociale dal glorioso passato ma anche dal futuro promettente ovvero il mutualismo.
Attraverso questo meccanismo sociale è possibile infatti riprendere il controllo sulle interdipendenze che in modo sempre più pervasivo caratterizzano le relazioni interpersonali e inter-organizzative. Un sistema di connessioni che la trasformazione digitale ha esteso e reso più immersivo, non solo per “fare” ma sempre più per “essere”. Un vissuto che muove su registri diversissimi: dalla sensazione di onnipotenza nel poter agire leve relazionali inimmaginabili in contesti fin qui limitati dal corto raggio territoriale e dalla relativa omogeneità di interessi e aspettative, fino a sentimenti di oppressione, alienazione e inquietudine nel sentirsi sempre più “al soldo” di tecnostrutture che in modo sempre più efficiente estraggono valore dalle relazioni.
In questo senso il mutualismo si pone come agente di trasformazione dei modelli dominanti sia della burocrazia che del mercato misurandosi non sulla costruzione di nicchie alternative che vivono dei fallimenti altrui ma sulla capacità di elaborare nuovi paradigmi il cui avvento è sempre più urgente.
Ma oltre a fare da “base culturale” del lavoro sociale il neomutualismo può fungere anche da principio di azione, organizzazione e strategia, dimostrando, o riconfermando, una notevole plasticità rispetto alle sue diverse “forme d’uso”. Rispetto a queste ultime si possono individuare tre possibili declinazioni.
La prima consiste nel riformare la principale forma organizzativa e di governance attuale, cioè quella delle piattaforme, trasformandola da un business model che ne sta progressivamente inaridendo il potenziale, a modalità in grado di fare quello per cui sono nate, ovvero abilitare apporti e risorse che in gran parte sono ancora oggi latenti incrementando così il loro impatto sociale.
Ci troviamo di fronte alla più grande operazione di change management nella storia delle organizzazioni e non possiamo perdere l’opportunità di rendere più “sociali e inclusive” le imprese. Serve quindi il coraggio, oltre che l’intelligenza, di andare oltre il modello di organizzazione del lavoro pensato all’epoca della seconda rivoluzione industriale e a quello estrattivo degli oligopoli tecnologici.
Proprio perché il lavoro è trasformativo della persona, il processo attraverso il quale vengono prodotti beni e servizi acquista valenza morale, non è qualcosa di neutrale. Il neo-mutualismo rilancia il luogo di lavoro non come quello spazio in cui gli input vengono trasformati in output, ma come “ambiente” in cui si alimentano conversazioni e si forma (o si trasforma) il carattere del lavoratore.
La seconda declinazione consiste nell’affermare modelli più cooperativi come miglior criterio e metodo per fare innovazione a fronte di tendenze che invece vedono ancora oggi prevalere modalità di trasferimento tecnologico in senso unidirezionale di tipo produttore-utilizzatore perché guidate dal predominio della tecnica e della massimizzazione del vantaggio economico generando così un esubero di supporti sempre più svuotati in termini di “utilità sociale”.
Infine il neomutualismo è chiamato, come si sosteneva in precedenza, a essere l’enzima del cambiamento organizzativo. Si tratta, in realtà, di un “ritorno sul luogo del delitto” perché ancora oggi il lavoro sociale prende in forma in molti casi all’interno di organizzazioni cooperative. E’ uno sforzo però da rinnovare costantemente, anche a fronte di difficoltà che i recenti dati sulla “denatalità cooperativa” mettono in luce, per fare in modo che lo scambio mutualistico alla base di queste organizzazioni sia in grado di innescare una nuova stagione di partecipazione e imprenditorialità remunerando adeguatamente un insieme di fattori motivazionali sempre più complesso e articolato.
Ciò richiede di gestire e mettere a valore le tre principali declinazioni del mutualismo: quella più immediata del mutuo supporto che riguarda non solo i beneficiari dei servizi ma gli stessi lavoratori sociali ad esempio guardando alla progressiva diffusione di piani assicurativi e di welfare ad essi dedicati; esiste poi la declinazione del mutuo beneficio che richiede di cogliere e di valorizzare i benefici generati ad ampio raggio per famiglie comunità e imprese calibrando su questa base incentivi e sconti fiscali.
Infine, ma non per ultimo, esiste il versante del mutuo riconoscimento con il quale si fa riferimento a tutti quei soggetti che a vario titolo fanno lavoro sociale – professionisti, volontari, prosumer, comunità educanti e della cura, ecc. – e in questo modo ne riproducono una rappresentazione condivisa.
Articolo pubblicato su Vita Magazine.
PER SAPERNE DI PIÙ
NEOMUTUALISMO. RIDISEGNARE DAL BASSO COMPETITIVITA’ E WELFARE
di Paolo Venturi e Flaviano Zandonai
Edizioni Egea
Numero Pagine: 208
ISBN/EAN: 9788823838352