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Articolo di Alceste Santuari, Università di Bologna
Tra gli aspetti innovativi, non assoluti ma comunque meritevoli di attenzione, la Riforma del Terzo settore disegna un enabling framework per le P.A. affinché queste ultime definiscano processi, percorsi e modalità (anche sperimentali) di partenariato (non di “servilismo”) con gli enti non lucrativi. Allo scopo di comprendere tali novità e per valutarne le possibili declinazioni operative, è necessario muovere da un assunto fondamentale: il ruolo dell’ente pubblico (committente, stazione appaltanti, amministrazione procedente, ecc.). Il Codice del Terzo settore (d. lgs. 117/17) valorizza proprio la funzione “centrale” degli enti pubblici nelle dinamiche collaborative con gli enti espressione della società civile e della sussidiarietà organizzata. La Riforma, infatti, riconosce agli enti locali piena autonomia organizzativa e regolamentare. In questa prospettiva, dunque, gli enti locali (e le ASL, per lo spazio di loro competenza) sono chiamati a mettere in campo la loro vision rispetto al coinvolgimento degli enti del terzo settore.
Non può dubitarsi che nella implementazione di questo obiettivo, oggi rispetto al passato, gli enti locali abbiano a disposizione una pletora di strumenti e di procedure, che debitamente “mixate” possono invero contribuire a definire servizi, interventi e prestazioni più efficaci, efficienti e sostenibili.
Gli enti locali (e le ASL) possono dunque fare riferimento:
- alla co-programmazione e alla co-progettazione, disciplinate dal Codice del Terzo settore;
- all’affidamento a mezzo procedura ad evidenza pubblica, anche “temperata” in ragione di particolari clausole sociali e ambientali, la cui disciplina è contenuta nel Codice dei contratti pubblici (d. lgs. n. 50/2016);
- alla costituzione, anche strutturata, di partnerships con i soggetti privati, costituendo società miste (d. lgs. n. 175/2016);
- alla legge n. 241/1990 e ss. mm. in materia di procedimento amministrativo;
- artt. 3 e 7, d. lgs. 59/2010 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno);
- 328/2000;
- dpcm 30 marzo 2001;
- leggi regionali
Si tratta di una “lista positiva” di fonti normative, alla quale si può aggiungere anche la deliberazione ANAC n. 32/2016 in materia di affidamenti di servizi agli enti non profit e alle cooperative sociali, nonché le Direttive UE 2014 sugli appalti e concessioni, così come interpretate dalla giurisprudenza della Corte europea di giustizia.
Gli enti locali (e le ASL) hanno dunque a disposizione una pletora di procedure e strumenti, da combinare insieme per la realizzazione dell’unico vero obiettivo che agli stessi è affidato dal sistema di welfare: garantire l’esigibilità dei livelli essenziali delle prestazioni sociali e civili.
In questo senso, anche allo scopo di rendere più “accountable” la loro azione in questo ambito, gli enti locali potrebbero dotarsi – nell’ambito della loro autonoma potestà regolamentare – di un apposito regolamento (comunale) in cui versare i contenuti delle modalità, procedure e processi che essi intendono attivare avuto riguardo ai rapporti collaborativi (co-programmazione, co-progettazione, accreditamento, convenzionamento diretto).
Il Prof. Alceste Santuari è autore del volume “Le organizzazioni non profit e le forme di partnership con gli enti pubblici nella riforma del Terzo settore”, Bononia University Press (Bologna), maggio 2018, pp. 315, prezzo di copertina € 28,00.