
Vis, Valutazione di Impatto Sociale
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L’opportunità per i giovani? Essere attori nell’innovazione
5 Ottobre 2017Articolo di Paolo Venturi, Direttore Aiccon e Flaviano Zandonai, Segretario Generale Iris Network e ricercatore Euricse
Lo status quo è il peggior nemico di qualsiasi riforma. Anche di quella del Terzo settore e dell’impresa sociale.
Il rischio che tutto rimanga come prima è quasi peggio del fare danni per un dispositivo normativo che si propone di dare nuova forma a settori di attività, soggetti organizzativi, politiche e strategie di sviluppo. La domanda quindi è: la nuova normativa sul Terzo settore completa di decreti è attrezzata per generare cambiamento?
La risposta, mutuando l’apparato concettuale della valutazione oggi molto di moda, può essere trovata guardando non solo agli output (i benefciari diretti cioè le organizzazioni di Terzo settore) e neanche esclusivamente agli outcome (che in questo caso riguardano i principali contesti di azione del Terzo settore come welfare, cultura, ambiente), ma anche all’impatto sulle infrastrutture che governano lo sviluppo sociale ed economico, intercettando bisogni e risorse che emergono da azioni individuali e dai tessuti connettivi delle comunità territoriali e di scopo.
Una riforma d’impatto quindi, per una società che nell’ultimo decennio è profondamente mutata nella sua stratificazione socioeconomica. Ecco quindi le principali direttrici di cambiamento che potranno fare della legge quadro n. 106/16 e dei suoi decreti attuativi — in particolare del d.lgs. n. 112/17 sull’impresa sociale al quale si riferisce questa analisi — una autentica “riforma societaria”.
Volano dell’economia coesiva
Il decreto che ridefinisce identità, requisiti e funzionamento dell’impresa sociale contribuisce non solo a posizionare questo modello d’impresa nell’alveo politico culturale del Terzo settore dove è nata e prosperata negli ultimi quarant’anni, ma restituisce alla dimensione imprenditoriale nel suo insieme un orizzonte legato all’interesse generale.
La “produzione come fatto sociale” oggi può trovare in questa norma le ali per affermarsi in un’epoca nella quale il sociale sta caratterizzando i modelli di business delle imprese. Il tratto sociale è ormai entrato nel codice genetico dell’economia mainstream con le imprese benefit e con l’impresa sociale diventa non solo fine ma anche metodo e motivazione di chi fa impresa. Si assiste così all’allargamento di quella terra di mezzo fra motivazioni prosociali e quelle speculative: è la terra delle imprese inclusive, quelle che “fanno luogo” attraverso economie che creano, integralmente, sviluppo e coesione. In tal senso molto importante è il riferimento all’impossibilità di poter costituire imprese sociali unipersonali: all’art. 1 comma 2 si ribadisce infatti la dimensione collettiva, anzi comune.
Le imprese sociali sono “un’azione comune” dove si condividono mezzi e fini. Non a caso per comunicare questo elemento di valore il documento più importante sarà il bilancio sociale che dovrà includere, per le imprese sociali di dimensioni più significative, anche la valutazione dell’impatto sociale (articolo 9, comma 2).
Basta nicchie
Si è partiti dalla lettera a) e si è arrivati fino alla v) per indicare i settori su cui l’impresa sociale può operare (art. 2 comma 1). Turismo, cultura, agricoltura, abitare, sport saranno settori nei quali esercitarsi a definire un nuovo “paniere” di beni e servizi di interesse generale. Un ambito, quest’ultimo, che negli ultimi anni non è riuscito a sottrarsi dal dualismo Stato e mercato, lasciando alla “terza via” solo nicchie o ruoli di subfornitura.
Ora invece c’è uno spazio, potenziale, per una ridefinizione radicale di quel che si definisce (o meglio si riconosce) come socialmente meritorio. È il sociale contenuto nella rigenerazione di beni abbandonati, nella valorizzazione di luoghi e tradizioni dimenticate, nell’innovazione dei servizi di terziario sociale, nella nascita di una nuova offerta di housing e di domiciliarità. Gli imprenditori sociali del post riforma dovranno lavorare più sul codesign dei servizi piuttosto che sui formulari per accedere ai bandi e la stella polare sarà rappresentata dalla dimensione esperienziale e di senso.
Dilatare i settori non significa solo moltiplicare e differenziare le prestazioni, significa soprattutto generare valore multidimensionale in mercati diversi, includendo una fetta di popolazione, sempre più consistente, che oggi attraverso il consumo prova a riorientare il modello di sviluppo e, così facendo, trova nuove modalità di autorealizzazione di sé.
L’articolo completo è pubblicato sul numero di settembre di VITA.